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Moda: ma i consumatori sono davvero consapevoli?

Il comparto produttivo del tessile/abbigliamento si sta interrogando seriamente sul suo futuro. Iniziano a vedersi aziende virtuose che ridisegnano le loro filiere produttive, modificano gli schemi di lavorazione, analizzano con più attenzione le materie prime disponibili, ecc.

Moda: ma i consumatori sono davvero consapevoli?

Ma i consumatori, sono realmente consapevoli che è fondamentale anche il loro ruolo per una moda realmente sostenibile?

Riguardando i risultati di un sondaggio svolto nel 2018 (Sustainable Fashion Survey – Changing Market Foundations – Clean Clothes Campaign) e comparandolo con i dati che ho ottenuto direttamente tramite un altro sondaggio che ho organizzato in collaborazione con l’Università di Isparta (Turchia) e l’Università di Gent (Belgio), mi è venuta la seria impressione che il consumatore abbia ancora molto bisogno di “aiuto”.

Iniziamo dicendo che circa l’80% degli intervistati ritiene importante sapere se il comparto abbigliamento sta adottando misure per ridurre l’inquinamento. E fin qui, tutto bene, anche se sarebbe bello poter vedere un numero un po’ più alto.

Gli italiani e gli spagnoli ritengono importante che i brand si impegnino a tutelare l’ambiente (ma anche i portoghesi hanno fatto sentire il loro peso): più dell’80% per gli italiani, poco meno per spagnoli e lusitani.

Ma ora iniziamo con numeri un po’ più preoccupanti…

Solo poco più del 50% degli intervistati è deciso a non comprare da un brand che inquina (e qui, i più agguerriti sono stati i nostri cugini francesi). Quindi, la curiosità ci spinge a voler sapere se i brand inquinano, ma poi, quasi la metà dei consumatori continua a comprare prodotti che hanno devastato fiumi, mari, aria, ecc.

Ma adesso arriva una delle parti verso cui sono personalmente molto sensibile e che conferma un pensiero che mi perseguita quotidianamente…

Meno del 20% dei consumatori intervistati ritiene di essere informato sugli impatti ambientali e sociali prodotti dalla moda.

Cerchiamo di riflettere su questo dato. I motivi sono sicuramente diversi ma, in primis, citerei il fatto che non esiste ancora una reale “cultura” della sostenibilità a livello scolastico, a cui faccio seguire il fatto che ci si crogiola troppo spesso dietro alle notizie positive (“Tizio” ha inventato la nuova tintura naturale, “Caio” ha depurato meglio l’acqua, “il cugino di Caio” usa solo prodotti certificati, e via di questo passo), nascondendoci la realtà che sta dietro al sipario.

Il problema è cercare di portare questo risicato 20% a numeri più adeguati. Più persone sanno, più “pressione” ci sarà sugli addetti ai lavori. Più i consumatori sono informati, più saranno consapevoli. Il nostro ruolo può diventare fondamentale.

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