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I calzini della vergogna

Se non teniamo conto delle calze da uomo che normalmente si perdono nei meandri di cassetti e mobili vari (c’è sicuramente un folletto che le nasconde e ci fa trovare un singolo esemplare), nel mondo occidentale si usano circa 30 miliardi di paia all’anno di calzini.

Un numero incredibilmente grande.

L’Italia ha visto crescere un distretto industriale che ha riscosso successo mondiale per decenni, grazie ad una produzione altamente specializzata. La provincia di Mantova, e più precisamente i comuni di CastelGoffredo, Asola, Casalmoro, Medole, Solferino, Ceresara, ecc., hanno visto nascere brand come Golden Lady, Sanpellegrino, Filodoro, Levante e tanti altri. Si tratta di marchi che hanno fatto la storia di queste zone, ma anche della calzetteria mondiale.

Ma oggi è ancora così?

Un mercato di miliardi di pezzi da produrre, farebbe gola a tanti. E le autorità cinesi di Zhejiang hanno colto la palla al balzo. All’inizio del millennio, le autorità cinesi locali, ne hanno approfittato e hanno iniziato a potenziare la produzione di calzini.

Datang, città della provincia Zhejiang, produce un terzo della quantità di calzini consumati nel mondo.

Da gennaio a marzo 2022, le esportazioni di calzini da questa città hanno fatto registrare 326 milioni di dollari: un aumento del 54 % rispetto all’anno precedente, per lo stesso trimestre.

La qualità sta crescendo: d’altro canto, è proprio l’Italia a fornire i macchinari ad alta tecnologia per produrre questo prodotto (e pensare che questi macchinari vengono prodotti a pochi chilometri dal nostro distretto di produzione…).

Ma non ci si trasforma in produttori di calze dalla sera alla mattina.

Datang è diventata la capitale del calzino proprio grazie agli imprenditori italiani (oltre che quelli di Taiwan e sudcoreani) che, negli anni ottanta e novanta hanno iniziato a delocalizzare le loro produzioni in questa parte della Cina. Stipendi bassi, condizioni di lavoro fuori controllo, e il gioco è fatto. In poco tempo, le aziende sono diventate tutte di proprietà cinese, e abbiamo creato il danno (come del resto per molti altri settori del tessile / abbigliamento). Oggi, le produzioni si stanno già spostando in migliaia di laboratori nei villaggi intorno a Datang, perchè i lavoratori della città hanno iniziato a recriminare stipendi più equi. Quello che sta succedendo è il solito “giochetto” della neo-delocalizzazione: da città asiatiche a villaggi asiatici. Se prima la situazione era poco etica e sostenibile, oggi è un vero e proprio schiavismo.

Che soluzioni abbiamo? Innanzitutto parlarne e conoscere.

Poi, cerchiamo di non perdere troppi calzini nei cassetti degli armadi. Infine, quando ne compriamo di nuovi, non guardiamo solo al marchio, ma cerchiamo di assicurarci di comprare un prodotto che sia prodotto in modo etico e rispettoso dei diritti umani.

Se poi riusciamo a far capire che la delocalizzazione non deve servire per ricavare di più a discapito del nostro prossimo, allora avremo fatto un gran passo avanti.

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