Non esiste una precisa e uniforme indicazione sul numero di alveari da collocare per ogni ettaro di frutteto o di foraggeto da seme, tuttavia la maggior parte degli esperti ne consigliano: 4-6 per la fragola, il melone, il cocomero, il trifoglio ladino, il favino, la colza, la soia, gli agrumi, l’albicocco; da 8 a 10 per l’actinidia; da 6 a 8 per il mandorlo, il susino cino-giapponese, alcune cultivar di albicocco, melo e pero, il girasole, il trifoglio, l’erba medica, la mora, il lampone.
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In genere gli alveari sono distribuiti a gruppi di 2-3 distanziati di 100 metri l’uno dall’altro e posizionati all’interno dell’appezzamento con le aperture rivolte verso levante o a mezzogiorno. Secondo Pinzauti (1992; 1994) le api bottinatrici, di norma, frequentano i fiori nell’ambito di circa 500-600 metri di raggio dall’alveare.
L’introduzione degli alveari nel campo da impollinare deve avvenire quando la fioritura risulta essere almeno tra il 10 e il 20%.
In alcuni casi, come ad esempio, l’impollinazione dei fiori di varietà di susino cino-giapponese, l’introduzione dei pronubi deve essere effettuata quando la percentuale dei fiori in schiusura supera il 90% (Rondinini-Pinzauti, 1994).
Qualora le piante non fioriscano nello stesso periodo tornerà utile disperdere nell’ambiente, mediante la tecnica dei dispensatori, polline vitale e compatibile con la specie vegetale da impollinare.
Ci sono piante, come l’actinidia (Kiwi), che non producono nettare e sono visitate dalle api soltanto per il polline. In questo caso l’apicoltore ha necessità di nutrire le colonie con sciroppo zuccherino. È stato accertato che somministrando ogni tre sere tre litri di sciroppo ad ogni alveare la raccolta del polline aumenta in maniera vertiginosa (anche l’800%) con la conseguenza che l’operazione d’impollinazione ha esito più che soddisfacente. Per questo gli apicoltori, per la copertura delle spese, ricevono per l’impollinazione dei kiweti compensi più elevati integrati anche da contributi regionali secondo le direttive comunitarie.
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Per l’impollinazione dei fiori in ambiente chiuso (serra) con l’impiego delle api mellifere occorre fare molta attenzione in quanto l’umidità notturna che si condensa sul nylon e “l’effetto serra” provocato dal caldo potrebbero causare una inopportuna mortalità degli insetti e l’insorgenza del Nosema. È comunque sconsigliabile l’impiego di alveari in serre di superfici inferiori ai 100 mq. Per queste si preferisce utilizzare altri insetti pronubi come bombi, osmie e megachili o eriades.
Non sempre il bilancio di queste importanti pratiche apistiche è favorevole all’apicoltore. Nella produzione del servizio occorre tener presente che spesso i compensi non sono adeguati alle perdite rappresentate dai costi dei trasporti, dalla manodopera e dal maggiore dispendio di ore per i controlli, dalla maggiore usura delle attrezzature, dalle eventuali nutrizioni suppletive, dai possibili danni per avvelenamento o per atti di vandalismo, dal maggiore sfruttamento delle api che si potrebbe riflettere negativamente sui raccolti di miele e, non da ultimo, dalle perdite di tempo per i disbrighi burocratici pretesi da alcune Regioni.
di Roberto Grillini, esperto nazionale di apicoltura di Apitalia