Ovvero l’arte giapponese di accettare la transitorietà e l’incompiutezza dell’esistenza, senza ansie né paure.
Questa parola è molto speciale, che tratta di sensazioni, quindi è difficile da tradurre. E’ composta da due concetti, che cercheremo di riassumere.
Wabi indica i sentimenti di dolci, la tristezza, la fragilità, la solitudine, l’imperfezione, la mancanza, lo sgomento, il vuoto, ma anche la semplicità.
Sabi, invece, sta ad indicare il trascorrere del tempo, l’invecchiare e lo svanire delle cose, vissute come belle, quindi la bellezza nata dal passare del tempo.
Il fisico e autore Terada Torajiko descrisse questa parola come “la bellezza che trapela dall’interno di una cosa antica, ma che non ha nulla a che vedere con l’apparenza. Per esempio, una roccia coperta di muschio questa bellezza”.
Accettare ciò che siamo e cogliere il gusto dei piccoli particolari quotidiani non è semplice. Tornare ad apprezzare oggetti che abbiamo in casa da tempo, ricordandoci di chi li ha realizzati e fatti arrivare a noi con gratitudine, senza darli per scontati, ma valorizzandoli con la nostra attenzione.
Vivere secondo la cultura Wabi-Sabi significa proprio adottare strategie esistenziali che promuovono la natura dell’essere e del divenire naturale delle cose. Riparare gli oggetti, anziché buttarli e comprarne di nuovi, per esempio, è un’azione intrisa di wabi sabi. Può ispirarci ad intraprendere un percorso di meditazione che porta un profondo cambiamento nelle nostre vite.
Il Wabi-Sabi, che deriva dal buddismo esoterico e zen, esalta l’impermanenza, la naturalezza, come valori.
I principi dello stile di vita Wabi-Sabi ci portano a lasciarsi andare al fluire dell’esistenza. A intuire il fascino dell’antico, del rustico e del grezzo, un’eleganza che si mostra senza essere invadente, un concetto di bellezza consapevole del cambiamento naturale degli eventi e delle persone, che invecchiano senza generare malinconia.