Informazione e comunicazione rappresentano un risorsa preziosa per la promozione della sostenibilità. Sono strumenti chiave che possono incoraggiare il cambiamento, la transizione, dei comportamenti verso nuovi stili di vita. Per comprendere se la comunicazione che riceviamo è davvero affidabile è bene conoscere i rischi che possono compromettere la reale sostenibilità.
Il greenwashing è un’espressione con cui si vuole indicare l’uso illecito di messaggi a cui non corrispondono reali caratteristiche ambientali ed è stata coniata dalla rivista indipendente Mother Jones nel 1991, col significato di “tingere di verde” ossia messaggi che sono sostenibili solo in apparenza.
Da allora ad oggi, sono stati riscontrati molteplici casi di greenwashing più o meno gravi e sul sito greenwashingindex.com è possibile conoscere quelli più recenti. Già nel 2007, una società di marketing ambientale canadese, Terrachoice, individuò durante un’indagine in un grande centro commerciale, ben 1.017 prodotti riportanti dichiarazioni ambientali scorrette e fuorvianti.
Da questa ricerca, sono stati desunti i 7 vizi capitali del greenwashing che andiamo a scoprire.
1 – Omettere informazioni: è uno dei vizi più comuni e riguarda messaggi che mettono in evidenza soltanto un limitato insieme di caratteristiche green, nascondendo quelli che sono i problemi ambientali più rilevanti. Un esempio è dato dalle campagne informative delle multinazionali petrolifere che dichiarano di ridurre le emissioni di CO2 con iniziative volontarie, ma mantengono al centro del loro business l’estrazione e la vendita del petrolio.
2 – Informazioni vaghe: riguarda affermazioni così generiche o imprecise che il loro reale significato non è comprensibile. Un esempio è la dichiarazione che un prodotto è 100% naturale. Ma se ci pensiamo l’arsenico, l’uranio e la formaldeide sono tutti elementi naturali, anche se altamente inquinanti. Essere 100% naturale non significa necessariamente essere green.
3 – Mancanza di prove: questo vizio riguarda affermazioni sulla natura green di un prodotto che non sono sostenute da dati, informazioni o evidenze facilmente verificabili o da una certificazione indipendente. Ad esempio, l’etichetta “Non testato su animali” o il logo del “coniglietto che salta” deve essere sempre corredato da un codice che attesti la registrazione dell’azienda allo Standard internazionale.
4 – Informazioni irrilevanti: è il caso di affermazioni veritiere, ma chenon aiutano il consumatore nella selezione di scelte ecologicamente preferibili. Ad esempio la dichiarazione CfC free (senza CfC clorofluorocarburi, sostanze ritenute tra i maggiori responsabili del cosiddetto buco dell’ozono), In realtà l’uso dei CfC è oggi proibito per legge già da diversi anni e quindi tutti i prodotti sono CfC free!
5 – Uso di false etichette: si commette quando attraverso parole, immagini o simboli si dà la falsa impressione del patrocinio o della certificazione da parte di un soggetto indipendente. Un esempio sono falsi marchi che riportano improbabili foglie, spighette, farfalle, fiorellini e lampadine verdi.
6 – Informazioni fuorvianti: si commette quando le affermazioni possono essere vere, ma tendono a distrarre il consumatore dai fattori e dagli impatti che contano. Un esempio sono le affermazioni sulle auto sportive di grossa cilindrata che consumano meno della media della categoria oppure le sigarette prodotte con tabacco biologico.
7 – Informazioni false: sono le ecotruffe. Un tipico esempio è la falsa dichiarazione che un prodotto rispetta determinato standard, quando invece non è vero. L’esempio più eclatante è il recente caso di Volkswagen. Questo tipo di dichiarazione è punibile legalmente.