Che il nostro clima stia cambiando a una velocità allarmante ormai è sotto gli occhi di tutti: alluvioni, lunghi periodi di siccità, sbalzi repentini delle temperature, innalzamento dei mari, scioglimento dei ghiacciai, sono solo alcuni degli inevitabili contraccolpi del progresso industriale degli ultimi 150 anni.
Molti sono gli interventi e i progetti messi a punto dalle autorità mondiali al fine di porre rimedio a questa drammatica emergenza che sta mettendo a rischio il futuro nostro e dell’intero pianeta.
Modificare il notevole impatto ambientale delle moderne coltivazioni intensive sta destando un interesse sempre maggiore, e sono molti gli studi che evidenziano i considerevoli vantaggi sul clima dell’agricoltura biologica rispetto a quella convenzionale.
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A suscitare particolare attenzione è stato il Farming Systems Trial, più che un progetto una vera missione a cui il Rodale Institute, in Pennsylvania, sulle orme del suo visionario fondatore J. I. Rodale, ha dedicato ben 40 anni di ricerche e lavoro, giungendo a importanti scoperte.
Lo studio, condotto dal 1982, mirava a stabilire la resa produttiva di mais e soia coltivati in tre differenti modalità: con sistema convenzionale facente uso della chimica, con metodo biologico basato sulla rotazione delle leguminose per l’apporto nutritivo, e ancora con metodo biologico basato sull’uso del letame come concime.
I risultati sono stati sorprendenti: le produzioni biologiche in tempi di siccità hanno avuto un potenziale di resa fino al 40% in più rispetto a quelle convenzionali.
Dati rilevanti questi se consideriamo che soltanto nel 2022 la perdita subita dalle aziende agricole italiane a causa delle avversità climatiche ammonta, secondo una nota stima della Coldiretti, a ben 6 miliardi di euro, corrispondenti al 10% della produzione nazionale.
Si è anche osservato che il sistema biologico garantisce una migliore qualità del suolo. Grazie alla più elevata capacità delle piante di sequestrare il carbonio in eccesso dall’atmosfera e restituirlo al terreno, quest’ultimo ha una maggiore capacità di trattenere e filtrare l’acqua ed è molto meno soggetto ad erosione. Ciò si traduce in irrigazioni ridotte, sopravvivenza delle colture alle scarse precipitazioni, e aumentata stabilità del suolo in caso di piogge violente.
Anche la continua alternanza delle colture da reddito e l’uso di colture da copertura (piante come erba medica, segale, trifogli, grano saraceno, fagioli dall’occhio, ravanello, ecc. in convivenza con le coltivazioni da reddito) assicurano non solo la biodiversità, ma anche un costante rinnovo dei nutrienti nei terreni e una ridotta presenza di erbacce e parassiti.
Risulta quindi evidente che il biologico in agricoltura rappresenta il futuro, e come affermava il saggio J. I. Rodale negli anni ’50 del secolo scorso un suolo sano porta a cibi più sani e, in definitiva, anche a persone più sane.